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lunedì 30 settembre 2013
giovedì 26 settembre 2013
Il bilancione di "Bustina"
Balansón. Per i luzzaresi era la grande bilancia per la pesca dei fratelli Dalai, Büstìna e Caràcu, sull’uscita delle acque golenali di Fogarino e Baita, che si buttavano in Po dopo le piene. Dopo ogni piena golenale, il bilancione era la “dogana a rischio” per il pesce, che con la vescica natatoria avvertiva il calo del livello del fiume e cercava di ridiscendere in Po. Quello che non accettava il rischio rimaneva a riprodursi nelle varie lanche lasciate dal vecchio corso del Crostolo...
Da "A Luzzara, dizionario di Po e di robinie" di Sandro Tedeschi
martedì 24 settembre 2013
Ada Reggiani Tedeschi: "Colpa del vento"
"Colpa
del Vento" è una raccolta di poesie di Ada Reggiani Tedeschi (classe
1912) pubblicata nel 1999, curata dai figli Sandro, Liano e Ester.
Rientrando a casa al termine della presentazione di "A Luzzara, dizionario di Po e di robinie" di Sandro Tedeschi, felice e ancora emozionato, mi sono ricordato di questo libro che conservavo in uno scaffale insieme agli scritti di mio padre. Rileggendolo dopo tanti anni ho compreso che il dono della bella scrittura è un "vizio" di famiglia.
Rientrando a casa al termine della presentazione di "A Luzzara, dizionario di Po e di robinie" di Sandro Tedeschi, felice e ancora emozionato, mi sono ricordato di questo libro che conservavo in uno scaffale insieme agli scritti di mio padre. Rileggendolo dopo tanti anni ho compreso che il dono della bella scrittura è un "vizio" di famiglia.
Qui di
seguito riporto il testo introduttivo e tre poesie che parlano della
nostra terra e del nostro fiume.
Paolo L.
PREMESSA
A
venti anni ero già sposa felice.
(26 anni
di felicità nonostante la guerra che portò paura e sgomento).
Rimasi
sola con i miei tre figli nel 1958.
Dolori
e gioie si alternarono, come é nel destino dell'uomo.
Cominciai
a scrivere presto, per dire quello che l'anima mi suggeriva con un impulso imprevisto
e fu un aiuto a continuare un lungo cammino.
Scrissi
a me stessa.
COLPA
DEL VENTO
E' il
terzo giorno di ottobre, fa ancora caldo e l'ora che va incontro alla sera è
dolce.
Indugio
sul balcone, mentre il rosa del cielo si fonde in un largo spazio di pallido
viola. I ricordi si affollano nella mia mente come il vento che entra in un
mucchio di foglie secche e le fa volteggiare, scendere, salire e da questo
fruscio esce un poco di profumo dell'estate.
Mi
ritrovo a pensare di quando ero bambina e la voce di mia madre dice che sono
nata in una bella sera di aprile.
L'estate
la passavo sempre a Maso di Luzzara, in casa della sorella di mio papà,
dimenticando la rumorosa Milano.
La mia
infanzia é un insieme di corse pazze, di campi estesi, di odore d'erbe fresche,
di fieno caldo di sole, tralci di uva, meli, ciliegi, verdure fresche
dell'orto.
Le
galline cantavano un trionfante "coccodé" e le oche mi rincorrevano
col becco aperto, ma io ero più svelta di loro perché avevo una paura matta di
quei beccacci gialli che mi avrebbero "morsicata".
In
campagna dalla zia frequentai la III elementare; le lezioni si svolgevano in
uno stanzone abbastanza freddo, non troppo profumato perché gli scolari erano
fitti fitti nei banchi e i loro abiti avevano quel caratteristico odore di
stalla: quei poveri bambini passavano molte ore in quell'ambiente per ripararsi
dal freddo invernale. Qualche volta la maestra mi chiedeva di aiutarla, perché
una sola classe ne comprendeva tre (I, II, III).
Quell'inverno
passato in campagna mi ricorda le strade bianche di neve, i fossi pieni di
acqua gelata, dove in buona compagnia facevo lunghe e divertenti scivolate fra
grida e risate. La zia temeva che mi rompessi un braccio o una gamba, ma chi
ascoltava i suoi incitamenti a smettere quel bel gioco? (Povera zia!)
Mi
piaceva entrare nella stalla, attirata da quell'odore misto di erba, di
concime, di latte; subito mi assaliva un intenso calore acido, mi piangevano
gli occhi e dovevo uscire in fretta. Mi consolava un bicchiere di latte appena
munto, caldo e profumato.
La
notte scendeva presto sulla campagna che si faceva cupa, perché a Maso non
c'era la luce elettrica. Niente lampioni lungo la strada e, nelle case, solo la
luce di una candela o quella di una lampada a petrolio. Mi scaldavo alla fiamma
del caminetto e seguivo con lo sguardo le ombre che la candela disegnava sul
muro. Non c'era altro rumore che il crepitare della legna e il tocco leggero
degli occhiali che la zia appoggiava sul tavolo ogni tanto, quando smetteva di
cucire in quella luce lieve.
Certe
sere, accendeva la lucerna grande che pendeva dal soffitto e, con la sua
stupenda voce, mi cantava le romanze delle opere più belle.
La
stanza da letto era vasta, col soffitto a cassettoni dal quale pendevano
grappoli di uva nera ad appassire; da un'altra stanza veniva l'odore delle mele
cotogne e quello delle mele campanine messe a maturare fra la paglia. Dagli
armadi usciva l'odore delle spighe di lavanda che davano un buon profumo alla
biancheria. Tutti questi profumi messi insieme furono la più bella ninna-nanna
ch'io potessi desiderare.
Prima
ancora dell'arrivo della primavera si andava per viole: se ne trovavano tante!
Le viole della mia infanzia erano grosse, di colore intenso e tanto profumate.
Nel cielo passavano ombre di rondini in volo;
intorno un cinguettare laborioso per i primi nidi e, dopo, la raccolta dei
passerotti inesperti per riportarli da dove erano caduti.
Era anche il tempo dei grandi bucati e una
quantità di lenzuola, che per tutto l'inverno aveva soggiornato nei solai,
veniva calcata in enormi tinozze e inondata con l'acqua della cenere bollita
nei larghi focolai all'aperto.
Le donne, con le maniche rimboccate sulle braccia
robuste, si mettevano da un capo all'altro del mastello e, su una lunga asse,
strofinavano, insaponavano, sbattevano, torcevano quei poveri panni. Dopo
averli ben sciacquati li stendevano in lunghe file e sui prati c’era una
frenesia di bianco. Il vento di marzo gonfiava e sollevava le lenzuola come
fossero larghe vele su un mare tranquillo.
A Milano non c’erano tutte queste cose che per me
erano meravigliose e avevano il sapore della gioia.
Rimpiangevo certi momenti passati con i miei genitori
e il suono del “silenzio” che ascoltavo prima di addormentarmi (abitavamo al
Distretto perché mio padre era militare).
A Maso andavo a vedere zappare la terra nei
campi, assistevo alla semina, al crescere delle spighe che diventavano color
dell’oro. Dopo ondeggiava il grano per la polenta e, quando era maturo, veniva
raccolto e le pannocchie sfogliate la sera sulle aie ancora calde di sole.
Mi piaceva seguire la falciatura dell’erba: i
lunghi fili verdi cadevano sul prato, un ciuffo dopo l’altro, formando lunghe
onde. Quando i contadini raccoglievano il fieno, lo stipavano sul carro tirato
dai buoi e, Dio sa come, venivo issata lassù. Mi godevo così una larga
inquadratura di campi, di alberi, di cielo che impallidiva al primo fresco
della sera. Mi cullava una dolce sonnolenza, mentre già pensavo ai salti che
avrei fatto giù dai fienili.
In inverno, salvo quell’anno, tornavo in città a
studiare; poi ancora in campagna, finché non fui più una bambina e… incontrai...
ma questa è un’altra storia.
Il fresco improvviso della sera mi distoglie
dalla ricerca di lenti ricordi.
Mi accoglie la casa col suo tepore, e fuori le
stelle sono quelle di sempre.
...
PICCOLO MONDO
Sono fuggite
dai sogni dei bimbi
le fate
Con bianco filo lucente
hanno ricamato
alberi e siepi,
sparso zucchero sui tetti
per fare più bello
questo piccolo mondo
che in primavera
si copre di mille colori,
ha fremiti di pioppi
e un fiume stupendo
Forse
le fate
si sono nascoste
nel folto mare di verde
SULLE RIVE DEL PO
Ho raggiunto la riva del Po;
al di là
l'altra sponda.
Il fiume luminoso
scorre fra di esse:
alberi verdi e silenzi profondi.
Una barca va, lenta
come simbolo di grande pace.
Fiume maestoso
ma non superbo
scorre tranquillo
come lo sguardo
che segue il suo passare.
Fiume che è dono di sensazioni
più nuove
più grandi.
Fiume che sentiamo di amare
come si amano
le cose più belle:
dal più umile fiore
all'immensità del cielo.
VECCHIO FIUME
A volte
sei grande e triste
nel grigio tuo colore,
ma quante altre
sei pieno di luce
di tutte le luci
dei tuoi larghi
meravigliosi tramonti.
Sei bello nel sole,
ci rendi pavidi
nella nebbia,
ma noi che viviamo
sulle tue rive
ti amiamo,
Sempre.
Ada Reggiani Tedeschi