Fundacion Mapfre - Madrid (3/6 - 23/8/2015)
Link al virtual tour:
http://exposiciones.fundacionmapfre.org/paulstrand/visita_virtual/visita_virtual.html
giovedì 31 marzo 2016
mercoledì 30 marzo 2016
mercoledì 23 marzo 2016
martedì 22 marzo 2016
Video del "Victoria and Albert Museum" di Londra
Link al video del Victoria and Albert Museum:
https://www.facebook.com/victoriaandalbertmuseum/videos/10153779246313880/
https://www.facebook.com/victoriaandalbertmuseum/videos/10153779246313880/
"In
the 1940s, Paul Strand visited Luzzara in the North of Italy. Here, he
took some of his most famous photographs of a small community surviving
in post-war Italy. Martin Barnes, our senior curator of photography
revisits some of the locations found in Strand's book of the Luzzara
project, Un Paese."
lunedì 21 marzo 2016
giovedì 17 marzo 2016
mercoledì 16 marzo 2016
Teatro Sociale di Luzzara - Dal diario di Riccardo Cagnolati
Fonte: Biblioteca Maldotti Guastalla
"La volta di questo atrio era molto bassa, perciò pensai di innalzarla con un lavoro arioso, leggero e di stile floreale, allora tanto in voga. Quattro ritratti di larghezza naturale completavano il lavoro con foglie di quercia e di alloro: Vittorio Alfieri, Carlo Goldoni, Gioacchino Rossini e Giuseppe Verdi. E proprio mentre stava esalando l'ultimo respiro il grande musicista, io iniziavo il suo ritratto per poi dipingerlo sulla volta."
lunedì 14 marzo 2016
domenica 13 marzo 2016
La campagna di Russia: Mario, 17° Reggimento artiglieria Div. Sforzesca
Nel giugno del 1942 eravamo già in Russia. Attraversando paesi e città arrivammo fino al Don.
In agosto subimmo un forte attacco dai russi: ci eliminarono due reggimenti di fanteria. Li tenemmo e resistemmo con l’artiglieria. Con i cannoni sparavamo a cinquecento metri, vedevamo il nemico: è stato un macello.
Dopo l’attacco le altre truppe italiane ci derisero; ci avevano dato il soprannome di Divisione “Cicai”, che vuol dire “che scappa”. Un soprannome ingiusto perché quella forse fu una delle prime serie offensive che i russi condussero contro le nostre truppe. Avevamo tre delle loro divisioni contro di noi, che per fare una loro divisione ce ne volevano tre delle nostre, e quindi era come se avessimo avuto nove divisioni schierate contro.
Tornavamo indietro un poco alla volta. Facevamo cinquanta metri, ci fermavamo a sparare, e poi altri cinquanta metri di ritirata. Avevamo un capitano molto bravo e non saliva in macchina fino a che l’ultimo soldato non aveva preso posto sul camion. Abbiamo fatto così fino a quando sono arrivati i rinforzi, e noi ci siamo staccati.
Sul Don rimanemmo fermi fino al 17 dicembre.
Il primo che vidi congelato fu un mio compagno che rientrava dalla guardia. Quando venne dentro al rifugio sotterraneo, notando qualcosa di strano, gli chiesi cosa avesse sul naso. Lui se lo toccò e saltò via la punta. Capitava anche con la parte superiore delle orecchie.
Dal 17 dicembre – giorno in cui cominciammo a ritirarci - fino ai primi di gennaio 1943 camminammo nella sacca e ne uscimmo per merito degli alpini e dei bersaglieri. Durante la ritirata – gli ultimi giorni – fummo avvistati da una “Cicogna” tedesca. L’aereo da ricognizione atterrò e l’ufficiale ci disse che non eravamo più in grado di combattere. Eravamo stravolti dalla fatica, dal gelo, dalla morte, dalla fame, non eravamo neanche più armati. Il pilota ripartì, ma tornò il giorno dopo per comunicarci che stavamo andando verso le linee russe. Strappò un pezzo di carta topografica e con dei cerchietti segnò le nostre posizioni e quelle del nemico, indicandoci con una freccia dove dovevamo andare.
Lì morirono in tanti a causa dei camion obbligati a fare inversione sulla pista (nelle vicinanze i campi erano minati). Tanti soldati che erano fuori, aggrappati, furono stritolati; chi cadeva a terra veniva schiacciato.
Quando dico che là sono successe delle cose che nessuno può immaginare… Io sono stato fortunato.
Ci portammo nel punto indicato dalla freccia. Nella notte i tedeschi e gli alpini combatterono contro i russi e fecero un varco: noi passammo di lì, eravamo una colonna enorme.
Dopo l’attacco le altre truppe italiane ci derisero; ci avevano dato il soprannome di Divisione “Cicai”, che vuol dire “che scappa”. Un soprannome ingiusto perché quella forse fu una delle prime serie offensive che i russi condussero contro le nostre truppe. Avevamo tre delle loro divisioni contro di noi, che per fare una loro divisione ce ne volevano tre delle nostre, e quindi era come se avessimo avuto nove divisioni schierate contro.
Tornavamo indietro un poco alla volta. Facevamo cinquanta metri, ci fermavamo a sparare, e poi altri cinquanta metri di ritirata. Avevamo un capitano molto bravo e non saliva in macchina fino a che l’ultimo soldato non aveva preso posto sul camion. Abbiamo fatto così fino a quando sono arrivati i rinforzi, e noi ci siamo staccati.
Sul Don rimanemmo fermi fino al 17 dicembre.
Il primo che vidi congelato fu un mio compagno che rientrava dalla guardia. Quando venne dentro al rifugio sotterraneo, notando qualcosa di strano, gli chiesi cosa avesse sul naso. Lui se lo toccò e saltò via la punta. Capitava anche con la parte superiore delle orecchie.
Dal 17 dicembre – giorno in cui cominciammo a ritirarci - fino ai primi di gennaio 1943 camminammo nella sacca e ne uscimmo per merito degli alpini e dei bersaglieri. Durante la ritirata – gli ultimi giorni – fummo avvistati da una “Cicogna” tedesca. L’aereo da ricognizione atterrò e l’ufficiale ci disse che non eravamo più in grado di combattere. Eravamo stravolti dalla fatica, dal gelo, dalla morte, dalla fame, non eravamo neanche più armati. Il pilota ripartì, ma tornò il giorno dopo per comunicarci che stavamo andando verso le linee russe. Strappò un pezzo di carta topografica e con dei cerchietti segnò le nostre posizioni e quelle del nemico, indicandoci con una freccia dove dovevamo andare.
Lì morirono in tanti a causa dei camion obbligati a fare inversione sulla pista (nelle vicinanze i campi erano minati). Tanti soldati che erano fuori, aggrappati, furono stritolati; chi cadeva a terra veniva schiacciato.
Quando dico che là sono successe delle cose che nessuno può immaginare… Io sono stato fortunato.
Ci portammo nel punto indicato dalla freccia. Nella notte i tedeschi e gli alpini combatterono contro i russi e fecero un varco: noi passammo di lì, eravamo una colonna enorme.
Appena fuori (dalla sacca) sentimmo gli altoparlanti e i megafoni dire che chi non era più in grado di camminare doveva mettersi da parte per aspettare le autoambulanze. Ma io non ero tranquillo e dissi ai miei amici: “Cominciamo ad andare.”
La notte stessa l’Armata Rossa fece un contrattacco – per loro la nostra fuoriuscita era stata uno smacco, perché quando facevano le sacche i tedeschi di russi non ne usciva neanche uno – e tanti soldati italiani furono presi ancora.
Quando dico che sono stato fortunato…
Mi ricordo che dentro alla sacca arrivammo in un posto come i Valgher (Vergari), dove c’erano delle stalle e delle case di campagna. E tutti lì stremati che si fermavano. Tra me e me ero convinto che non ci avrebbero lasciato in pace (eravamo troppi, tutti ammassati) e andai a svegliare i miei amici dicendo loro: "Ve via, ve via c’andom! A sa sluntanom da cal sit che!"
La notte stessa l’Armata Rossa fece un contrattacco – per loro la nostra fuoriuscita era stata uno smacco, perché quando facevano le sacche i tedeschi di russi non ne usciva neanche uno – e tanti soldati italiani furono presi ancora.
Quando dico che sono stato fortunato…
Mi ricordo che dentro alla sacca arrivammo in un posto come i Valgher (Vergari), dove c’erano delle stalle e delle case di campagna. E tutti lì stremati che si fermavano. Tra me e me ero convinto che non ci avrebbero lasciato in pace (eravamo troppi, tutti ammassati) e andai a svegliare i miei amici dicendo loro: "Ve via, ve via c’andom! A sa sluntanom da cal sit che!"
"Ma no, cat gnes an cancar, ma lasam star!" mi rispondevano, ma fecero a modo e mi seguirono, anche se erano stanchi, sfiniti.
Infatti, la notte stessa – eravamo già distanti come da qui (via Piave) alla “Muntada” (Montata di Terzi) – sferrarono un attacco i carri armati, i partigiani russi, le truppe regolari: un macello. "Avete visto che siamo già fuori dai guai" dissi ai miei compagni.
Dopo, nel camminare, passammo su un piccolo ponte su un fiumiciattolo, come il Po vecchio per intenderci. Come fummo lontani cento metri il ponte saltò in aria, era minato. Forse eravamo protetti da Dio.
Il freddo era tale da penetrarti gli occhi per poi uscire dalla testa. Le lacrime che scendevano dopo qualche centimetro erano già dure, gelate.
Se venivi fatto prigioniero era una brutta cosa. Dato che l’accerchiamento era molto largo, i primi prigionieri italiani in grado di guidare un camion vennero utilizzati come autisti. Tra questi, quelli che si rendevano conto che a poca distanza c’eravamo noi, mollavano l’autocarro per raggiungerci. Ci raccontavano com’era il trattamento riservato a chi veniva catturato, ed è per questo che avevamo paura e facevamo in modo di andare sempre avanti, camminando, camminando, per evitare di essere presi.
Una volta vidi un ufficiale, un maggiore, che di fronte ai soldati stava facendo un discorso: "Che soltanto ne uscisse uno per raccontare in Italia la tragedia che stiamo vivendo…"
E dentro di me pensavo: "Ma ön, e san sun mia me?"
Mi piaceva anche sdrammatizzare.
Un giorno notai un nostro autocarro con tanta gente intorno. C’era su un sergente della mia batteria. Con un “manaren” in mano rompeva delle forme di grana. Lo chiamai e riconoscendomi me ne lanciò un pezzo. Era da tanto tempo che non mangiavo e non riuscii a masticarne più di due boccate. Mi si era seccato tutto, la gola, le riserve, e questa roba così salata… Lo misi nel tascapane per mangiarlo dopo.
Fuori dall’accerchiamento si entrava dentro le case. Ci accoglievano e ci aiutavano con una grande umanità, che non so se noi saremmo in grado di fare lo stesso.
Una volta una donna, vedendo che ero pieno di pidocchi – quelli del corpo, che causano il tifo petecchiale – mi fece togliere la divisa e me la fece bollire, stendendola poi vicino alla stufa per farla asciugare.
Lungo la strada davo spesso delle manate nella neve per bagnarmi la bocca; ci erano venute delle croste sulle labbra e ricordo una grande sete, un’arsura dentro il corpo. A volte nelle abitazioni russe trovavamo un po’ di patate crude, ma è di una cattiveria la patata cruda.
Una volta ci trovammo in tanti, tutti in piedi in una camera - mi è capitato mille volte, come si vede nel film “I girasoli” - quando all’improvviso “a ma scapa da pisar”. Appena fuori sentii il fischio delle pallottole che mi passavano vicino. "Quel cecchino mira a me," mi dissi, e feci in fretta a fare i miei bisogni.
Gli ufficiali del mio gruppo erano quasi tutti dell’Emilia: Modena, Piacenza, Parma. Quando c’era un po’ di tregua mi piaceva stare con loro. Li conoscevo tutti personalmente, ero in confidenza perché facevo il sarto e quando avevano bisogno di sistemare un colletto rosicchiato o un polsino intervenivo io. Una volta eravamo in una balka – ci eravamo fermati perché eravamo convinti, di lì a poco, di morire o di essere fatti prigionieri - quando un ufficiale cominciò a piangere: "Se mia moglie e mia figlia sapessero che sono messo in questo modo morirebbero dal dispiacere."
Nel momento in cui un altro ufficiale gli diede due schiaffi per far sì che si riprendesse, arrivarono dei colpi di mortaio che scoppiarono vicino a noi, nella neve e nel ghiaccio, ma non mi colpirono.
Ricordo gli aerei che passavano a mitragliare la colonna. Cominciavano dalla coda fino alla testa, a bassa quota. Imparammo a correre, ad aprirci, a sparpagliarci buttandoci giù a terra, perché l’apparecchio, quando si abbassava, seguiva una sola direzione e non si spostava più. E dopo, quando era finita, provavi a muoverti un po’, ed eri contento quando realizzavi di non essere ferito.
Partimmo con la divisa di panno grigio-verde. Nell’equipaggiamento avevamo anche le fasce gambiere, strisce di panno che noi soldati ci avvolgevamo tra la scarpa e il ginocchio. Ma fermavano la circolazione del sangue e col freddo che c’era erano pericolose. Più avanti ci diedero dei gambali di feltro, ma non a tutti i reparti, solo ad alcuni. Gli scarponi erano di bassa qualità, di cuoio autarchico.
Ma si può che un soldato non abbia la maglia! Avevamo solo un farsetto a maglia grigio-verde che mettevamo sopra la camicia (non sotto), per coprire un po’ tutto. E poi la disorganizzazione che c’era, non è che funzionasse tutto bene.
Non ero mai tranquillo, pensavo sempre, sempre. Pensavo sempre a cosa era meglio fare per me e i miei compagni. Forse era forte in me lo spirito di conservazione.
Fui testimone di tanti atti di coraggio. C’era un tenente, un ufficiale richiamato non di carriera, che per sfortuna sua era piccolo come me, senza capelli, balbuziente, brutto, con la divisa da soldato. Ma nonostante l’apparenza, nei momenti difficili, di paura e incertezza, venivano fuori il suo coraggio e la sua intelligenza. Eravamo accerchiati dai russi e a volte non si sapeva proprio dove andare. Insieme a tre, quattro volontari lui partiva, stava via due giorni in perlustrazione e poi tornava sempre con la soluzione migliore. Era un fenomeno.
Mio padre morì che avevo sette anni, lui ne aveva trentatre. Una notte sul fronte, tra veglia e sonno lo vidi, lo sognai per la prima volta, non mi era mai capitato prima. Ricordo che in sogno mi disse: "Dovrai passare dei brutti momenti, però ce la farai."
Fu così che mi destai all’improvviso e incominciai a vestirmi in tutta fretta. Dopo dieci minuti suonò l’allarme e cominciò la ritirata.
Sono sempre stato convinto che da lassù qualcuno mi proteggesse.
Infatti, la notte stessa – eravamo già distanti come da qui (via Piave) alla “Muntada” (Montata di Terzi) – sferrarono un attacco i carri armati, i partigiani russi, le truppe regolari: un macello. "Avete visto che siamo già fuori dai guai" dissi ai miei compagni.
Dopo, nel camminare, passammo su un piccolo ponte su un fiumiciattolo, come il Po vecchio per intenderci. Come fummo lontani cento metri il ponte saltò in aria, era minato. Forse eravamo protetti da Dio.
Il freddo era tale da penetrarti gli occhi per poi uscire dalla testa. Le lacrime che scendevano dopo qualche centimetro erano già dure, gelate.
Se venivi fatto prigioniero era una brutta cosa. Dato che l’accerchiamento era molto largo, i primi prigionieri italiani in grado di guidare un camion vennero utilizzati come autisti. Tra questi, quelli che si rendevano conto che a poca distanza c’eravamo noi, mollavano l’autocarro per raggiungerci. Ci raccontavano com’era il trattamento riservato a chi veniva catturato, ed è per questo che avevamo paura e facevamo in modo di andare sempre avanti, camminando, camminando, per evitare di essere presi.
Una volta vidi un ufficiale, un maggiore, che di fronte ai soldati stava facendo un discorso: "Che soltanto ne uscisse uno per raccontare in Italia la tragedia che stiamo vivendo…"
E dentro di me pensavo: "Ma ön, e san sun mia me?"
Mi piaceva anche sdrammatizzare.
Un giorno notai un nostro autocarro con tanta gente intorno. C’era su un sergente della mia batteria. Con un “manaren” in mano rompeva delle forme di grana. Lo chiamai e riconoscendomi me ne lanciò un pezzo. Era da tanto tempo che non mangiavo e non riuscii a masticarne più di due boccate. Mi si era seccato tutto, la gola, le riserve, e questa roba così salata… Lo misi nel tascapane per mangiarlo dopo.
Fuori dall’accerchiamento si entrava dentro le case. Ci accoglievano e ci aiutavano con una grande umanità, che non so se noi saremmo in grado di fare lo stesso.
Una volta una donna, vedendo che ero pieno di pidocchi – quelli del corpo, che causano il tifo petecchiale – mi fece togliere la divisa e me la fece bollire, stendendola poi vicino alla stufa per farla asciugare.
Lungo la strada davo spesso delle manate nella neve per bagnarmi la bocca; ci erano venute delle croste sulle labbra e ricordo una grande sete, un’arsura dentro il corpo. A volte nelle abitazioni russe trovavamo un po’ di patate crude, ma è di una cattiveria la patata cruda.
Una volta ci trovammo in tanti, tutti in piedi in una camera - mi è capitato mille volte, come si vede nel film “I girasoli” - quando all’improvviso “a ma scapa da pisar”. Appena fuori sentii il fischio delle pallottole che mi passavano vicino. "Quel cecchino mira a me," mi dissi, e feci in fretta a fare i miei bisogni.
Gli ufficiali del mio gruppo erano quasi tutti dell’Emilia: Modena, Piacenza, Parma. Quando c’era un po’ di tregua mi piaceva stare con loro. Li conoscevo tutti personalmente, ero in confidenza perché facevo il sarto e quando avevano bisogno di sistemare un colletto rosicchiato o un polsino intervenivo io. Una volta eravamo in una balka – ci eravamo fermati perché eravamo convinti, di lì a poco, di morire o di essere fatti prigionieri - quando un ufficiale cominciò a piangere: "Se mia moglie e mia figlia sapessero che sono messo in questo modo morirebbero dal dispiacere."
Nel momento in cui un altro ufficiale gli diede due schiaffi per far sì che si riprendesse, arrivarono dei colpi di mortaio che scoppiarono vicino a noi, nella neve e nel ghiaccio, ma non mi colpirono.
Ricordo gli aerei che passavano a mitragliare la colonna. Cominciavano dalla coda fino alla testa, a bassa quota. Imparammo a correre, ad aprirci, a sparpagliarci buttandoci giù a terra, perché l’apparecchio, quando si abbassava, seguiva una sola direzione e non si spostava più. E dopo, quando era finita, provavi a muoverti un po’, ed eri contento quando realizzavi di non essere ferito.
Partimmo con la divisa di panno grigio-verde. Nell’equipaggiamento avevamo anche le fasce gambiere, strisce di panno che noi soldati ci avvolgevamo tra la scarpa e il ginocchio. Ma fermavano la circolazione del sangue e col freddo che c’era erano pericolose. Più avanti ci diedero dei gambali di feltro, ma non a tutti i reparti, solo ad alcuni. Gli scarponi erano di bassa qualità, di cuoio autarchico.
Ma si può che un soldato non abbia la maglia! Avevamo solo un farsetto a maglia grigio-verde che mettevamo sopra la camicia (non sotto), per coprire un po’ tutto. E poi la disorganizzazione che c’era, non è che funzionasse tutto bene.
Non ero mai tranquillo, pensavo sempre, sempre. Pensavo sempre a cosa era meglio fare per me e i miei compagni. Forse era forte in me lo spirito di conservazione.
Fui testimone di tanti atti di coraggio. C’era un tenente, un ufficiale richiamato non di carriera, che per sfortuna sua era piccolo come me, senza capelli, balbuziente, brutto, con la divisa da soldato. Ma nonostante l’apparenza, nei momenti difficili, di paura e incertezza, venivano fuori il suo coraggio e la sua intelligenza. Eravamo accerchiati dai russi e a volte non si sapeva proprio dove andare. Insieme a tre, quattro volontari lui partiva, stava via due giorni in perlustrazione e poi tornava sempre con la soluzione migliore. Era un fenomeno.
Mio padre morì che avevo sette anni, lui ne aveva trentatre. Una notte sul fronte, tra veglia e sonno lo vidi, lo sognai per la prima volta, non mi era mai capitato prima. Ricordo che in sogno mi disse: "Dovrai passare dei brutti momenti, però ce la farai."
Fu così che mi destai all’improvviso e incominciai a vestirmi in tutta fretta. Dopo dieci minuti suonò l’allarme e cominciò la ritirata.
Sono sempre stato convinto che da lassù qualcuno mi proteggesse.
Testimonianza di Mario Micheli
mercoledì 9 marzo 2016
Teatro Sociale di Luzzara - Lo statuto del 26/1/1913
Statuto - Regolamento della Società Teatrale di
Luzzara, approvato definitivamente dalla stessa nella sua Assemblea Generale
straordinaria del 26 Gennaio 1913.
TITOLO I.
Dell'origine e costituzione della società.
Art. 1. - La Società Teatrale di Luzzara trae origine
e costituzione dal Rogito in data 1 Giugno 1813 del Notaro Crema Giovanni di
Luzzara. Mediante il detto atto venne acquistato un fabbricato rustico per costruirvi
l'attuale Teatro. Così si formò la Società Teatrale composta allora di 16
azionisti, ora di 42.
TITOLO II.
Della proprietà del Teatro.
Art. 2. - La proprietà del Teatro Sociale di Luzzara e
delle sue fabbriche, accessori e pertinenze risiede nella Società dei
Palchettisti di qualsiasi ordine iscritti, e che in futuro si iscriveranno in
proporzione del prezzo stabilito per ciascun palco nella primitiva istituzione
e del rispettivo canone annuale. I mobili però ed arredi interni staccati ed
infissi dei palchi appartengono alla proprietà privata.
Art. 3. - Non potrà essere membro della Società
Teatrale chi non è proprietario di un palco. La proprietà si acquista e si
perde nei modi fissati dalle Leggi civili vigenti all'epoca del relativo
trapasso.
Art. 4. - Nel caso pervenisse ad uno la proprietà, ad
altro il godimento del palco, l'adempimento degli obblighi del palchettista
saranno durante l'usufrutto a carico dell'usufruttuario che si sarà, come tale,
fatto iscrivere nell'apposito registro della Società.
Art. 5. - Presso la Segreteria della Società verrà
tenuto il Registro per le intestazioni e successive volturazioni dei palchettisti
al nome del proprietario o usufruttuario, coll'indicazione dei relativi titoli
di possesso. Qualunque nuovo proprietario od usufruttuario di un palco, dovrà
entro un anno dal relativo acquisto far eseguire in suo nome la volturazione
nel Registro su detto in difetto di che non potrà intervenire alle adunanze, né
aver diritto al voto né a farsi rappresentare.
TITOLO III.
Dell'organizzazione interna.
Art. 6. - La Società convocata in seduta generale nel
modo fissato dal titolo seguente determinerà su tutti gli oggetti di massima
riguardanti l'economia, l'amministrazione e le discipline del Teatro.
Art. 7. - L'Assemblea dei palchettisti nominerà una
commissione composta di un Presidente, e di un Direttore, e di tre Membri.
Detta commissione rappresenterà la Società Teatrale, farà osservare il presente
Regolamento, darà esecuzione alle deliberazioni prese dall'assemblea,
provvederà a ciò che può occorrere al Teatro, secondo le attribuzioni più sotto
designate.
Art. 8. - Nell'annua convocazione ordinaria di
Gennaio, la Società fisserà il canone da pagarsi per gli spettacoli che si
dovranno dare e per ogni altra spesa riguardante l'interesse sociale ed ogni
socio sarà tenuto ad uniformarvisi. In casi straordinari, la società potrà
durante l'anno stabilire un canone suppletivo.
Art. 9. - Il canone come sopra fissato verrà ripartito
tra i soci palchettisti nella proporzione di un tanto per cento sul valore
della rispettiva azione, come dall'art. 2.
Art. 10. - Sarà obbligo della Commissione di agire con
mezzi legali contro colui che non avrà pagato il Canone entro tre mesi
dall'epoca fissata.
Del Cassiere
Art. 11. - Il Cassiere verrà eletto dalla Società:
egli rilascerà ai contribuenti le corrispondenti ricevute da lui firmate ed eseguirà
i pagamenti tutti a carico del comune dominio sopra mandati della Commissione i
quali dovranno essere firmati dal Presidente, da un Membro e dal Segretario. Di
questi ordini sarà dal Cassiere tenuto un registro colle regolarità volute dal
buon ordine di un'azienda e dovrà prontamente presentarlo a qualunque richiesta
della Commissione od individuo da essa delegato, la quale è autorizzata a
prescrivere quelle discipline che crederà più convenienti.
Del Segretario
Art. 12. - Il Segretario sarà eletto dalla Società:
questo dovrà tenere esattamente registrati in apposito libro gli atti delle
Assemblee Generali, e delle analoghe deliberazioni, stenderà gli atti delle
sedute dalla Commissione, terrà in custodia e buon ordine l'archivio, ed
eseguirà quant'altro riguardi il regolare andamento dell'Amministrazione sotto
la dipendenza sempre della Commissione.
Del Custode
Art. 13. - Il Custode del Teatro verrà nominato dalla
Società e dipenderà dalla Commissione. Egli avrà stretto obbligo di tener
pulito ed arieggiato e di costudire diligentemente il Teatro compreso i palchi
e tutti gli effetti in esso esistenti e di eseguire attentamente ogni sera
durante gli spettacoli e dopo chiuso il Teatro una visita dovunque per
prevenire qualsiasi pericolo o danno, epperò dovrà tenere presso di sé le
chiavi d'ogni e qualunque luogo chiuso o da chiudersi di detto Teatro.
Art. 14. - La Società Teatrale fisserà gli assegni
annui che giudicherà adeguati al Segretario, al Cassiere ed al Custode.
Del Direttore
Art. 15. - Al direttore è affidato l'incarico:
I°. - Delle pratiche pei contatti cogli Impresari.
2°. - Della sorveglianza perché detti contratti
abbiano esecuzione in conformità delle condizioni stabilite dalla Commissione.
3°. - Del mantenimento dell'ordine sul palco scenico.
4°. - Della sorveglianza degli inservienti tutti del
Teatro perché abbiano ad adempiere puntualmente le mansioni o incarichi loro
affidati.
5°. - Dell'osservanza da parte di chicchessia delle
Leggi, decreti, e regolamenti sui Teatri e delle deliberazioni prese dalla
Società e dalla Commissione Teatrale.
TITOLO IV.
Delle Assemblee Generali.
Art. 16. - Nel mese di Gennaio d'ogni anno si dovrà
regolarmente convocare la Società in seduta ordinaria affine di conoscere i
conti, fissare se del caso gli spettacoli e la dotazione relativa, procedere
alla nomina della Commissione e provvedere convenevolmente a tutti i bisogni
del Teatro. La Società potrà però nel corso dell'anno essere convocata anche in
sedute straordinarie per deliberare sopra oggetti particolari che non ammettano
dilazioni od anche in seguito a richiesta scritta firmata almeno da 3/5 degli
azionisti.
Art. 17. - La convocazione della Società dovrà farsi
dalla Commissione con circolare nella quale verranno stabilite due diverse
giornate con distanza di almeno tre giornate dalla prima alla seconda
convocazione osservando le disposizioni dell'Art. 23; e l'ora dell'adunanza ed
i titoli degli oggetti da trattarsi.
Art. 18. - Le adunanze si terranno nella sala del
Teatro sotto la direzione della Commissione, saranno regolate dal Presidente o
da un Membro della Commissione.
Art. 19. - Le azioni di ciascun palco del primo o
secondo ordine sono di L. 350, quelle di ciascun palco di proscenio sono di L.
200.
Quelle di ciascun palco di 3° ordine variano da L. 80
a L. 140, come risulta dal registro delle volture.
Il palco Comunale ha una triplice azione di L. 350 e
cioè L. 1050.
Ogni socio avrà diritto ad un voto per ciascun palco
da lui posseduto.
Intervenendo due o più comproprietari di un sol palco
e non convenendo chi di loro debba sostenere la rappresentanza, la Commissione
farà ciò decidere alla sorte.
Art. 20. - Ogni socio palchettista non potrà essere
rappresentato se non da un mandatario munito di dichiarazione del mandante.
I soci non potranno assumere rappresentanze. Un
individuo non potrà assumere più di una procura. Il marito però potrà
rappresentare la moglie anche senza delega.
Art. 21. - Per la validità delle deliberazioni della
Società, nella prima convocazione sarà necessario sia rappresentata la metà più
uno dei voti di cui può disporre la Società stessa.
Nella seconda convocazione invece le deliberazioni
saranno valide qualunque sia il numero degli intervenuti.
Art. 22. - Le votazioni si fanno per alzata di mano.
Le sole deliberazioni concernenti persone dovranno essere prese a schede
segrete.
Art. 23. - Tutti gli atti delle sedute saranno tenuti
validi ed obbligatori per tutti i soci, dovranno essere sottoscritti dal
Presidente e dal Segretario.
TITOLO V.
Nomina della Commissione, degli Impiegati ed
inservienti.
Art. 24. - La nomina della Commissione rappresentante
la Società, del Cassiere e del Custode del Teatro, si farà sempre a maggioranza
assoluta del numero dei voti rappresentati da chi di ragione, in conformità del
presente Regolamento.
Art. 25. - I componenti della Commissione
rappresentante la Società dureranno in funzione tre anni, e potranno essere
rieletti.
Art. 26. - Le funzioni degli individui della
Commissione rappresentante la Società sono gratuite; danno però diritto a
rimborso delle spese forzose sostenute per l'esecuzione di speciali incarichi.
Con la perdita poi della qualifica di membro della Società cessano le funzioni
degli individui della Commissione.
Art. 27. - Ogni membro della Società, o suo
rappresentante legale, potrà essere eletto a far parte della Commissione; non
vi potranno far parte i mandatari muniti di semplice dichiarazione dei
Mandanti.
La Commissione nominerà tutte le altre persone che
servir debbono il Teatro, e le dimetterà come e quando lo crederà necessario;
né chi abbia l'impresa degli spettacoli potrà aggiungerne o levarne alcuna
senza l'approvazione e il permesso della Commissione.
Ogni e qualunque reclamo per parte dell'Impresa, dovrà
essere presentato alla Commissione alla quale spetterà esclusivamente di far
ragione sul medesimo.
TITOLO VI.
Degli attributi della Commissione.
Art. 28. - Le funzioni e gli attributi della
Commissione rappresentante la Società sono:
a) Stabilire i contratti con gli Impresari entro i
limiti delle entrate che verranno fissate dalla Società;
b) Aver cura che il Teatro sia provveduto di
spettacoli decenti e piacevoli giusta le massime stabilite dalla Società;
c) Vegliare, ed occorrendo costringere pur anco in via
legale gl'Impresari all'esecuzione degli obblighi stipulati nei loro contratti
come pure altra persona avente obbligazioni di qualunque sorta verso la
Società; al qual effetto si conferiscono alla Commissione suddetta tutte le
opportune facoltà;
d) Provvedere alla manutenzione del Teatro e relativi
annessi e connessi non escluso il mobilio;
e) Sopraintendere alla cassa e azienda del condominio;
f) Essere sollecita a verificare l'incasso di quanto
possa competere o essere dovuto alla Società per qualsivoglia titolo o da
qualunque debitore; liquidare i debiti della Società, convenire e soddisfarli,
assumere investiture ed abilitare l'investente alle opportune iscrizioni ed
intavolazione dei suoi diritti;
g) Sostenere a mezzo del proprio Presidente qualunque
causa attiva e passiva concernente l'interesse sociale e rappresentare la
Società in ogni oggetto giudiziario ed amministrativo, con facoltà di nominare
avvocati e patrocinatori con diritto di sostituzione;
h) Aver cura che per le sedute ordinarie generali,
fissate dal Titolo 4.° siano fissati i bilanci preventivi e consuntivi da
presentarsi alla Società;
i) Stabilire le norme disciplinari per l'orchestra e
pel servizio del Teatro sebbene che per questo provveda in parte il Titolo 7.°;
l) Destinare e mantenere l'ordinamento esterno dei
palchi uniforme ed osservato esattamente da tutti i palchettisti;
m) Sospendere anche gli impiegati nominati dalla
Società salvo di riferire alla medesima nella più vicina Assemblea;
n) Infine, fare e provvedere secondo la sua miglior
scienza e coscienza tutto e quanto reputerà di mestieri in tutti quei casi in
cui la Società date speciali prescrizioni salvo di riportare dove occorra la
relativa sanatoria nella più vicina adunanza della Società.
La Società teatrale riserva a se stessa la facoltà di
concedere o meno l'uso del Teatro per motivi estranei a quelli cui il Teatro
venne destinato. La Commissione avrà però la facoltà di concedere l'uso del
Teatro a scopo di divertimenti, spettacoli, feste civili e patriottiche o per
conferenze scientifiche, artistiche, letterarie quando tale concessione non
possa portare aggravio o pregiudizio alla Società Teatrale specialmente nei
suoi rapporti con la Società d'illuminazione per la tassa della luce elettrica
e colla Società d'assicurazione contro i danni dell'incendio. In qualsiasi
eventualità l'alta sorveglianza e la direzione deve essere sempre tenuta dalla
Commissione Teatrale e ciò per tutelare gli interessi della Società stessa.
Art. 29. - Per la validità delle deliberazioni della
Commissione sarà necessario l'intervento almeno di tre membri della medesima e
sarà cura del Segretario che gli atti delle sedute abbiamo ad essere firmati
dagli intervenuti.
Le decisioni della Commissione saranno sempre prese a
maggioranza assoluta dei voti.
Titolo VII.
Disposizioni riguardanti gl'inservienti.
Art. 30. - Gl'inservienti dovranno presentarsi a
Teatro un'ora prima dell'apertura per assumere il loro ufficio. I ritardatari
saranno puniti per la prima volta con una multa di L. 1,00; la seconda volta
con una multa di L. 2,00 e la terza potranno essere licenziati, anche nel caso
di assenza giustificata.
Gli inservienti presentandosi al servizio non potranno
condurre seco persone estranee comprese quelle della loro famiglia.
Per tutti gl'inservienti indistintamente è prescritta
la massima nettezza personale e proprietà nella tenuta di servizio.
E' pure prescritta la maggiore correttezza nel
parlare, non ammettendosi assolutamente parole sconvenienti, sotto pena di
licenziamento.
Gl'inservienti non dovranno ubriacarsi, ed in
qualunque luogo del teatro si trovino, non dovranno fumare, ballare, cantare,
applaudire né fischiare.
Non è permesso nessun atto confidenziale fra gli
inservienti e il pubblico, dovendo ognuno attendere alle proprie incombenze in
modo che tutto proceda con la massima regolarità e precisione.
E' obbligo assoluto degli inservienti di corrispondere
con la massima cortesia alle richieste del pubblico, limitando le loro
relazioni con questo, al puro necessario senza intrattenersi a conversare.
Tutti gli oggetti ritrovati dovranno essere consegnati
subito al Direttore od a un membro della Commissione.
Disposizioni Generali
Art. 31. - Le multe che saranno inflitte agli
inservienti in conformità del seguente piano organico, verranno riscosse a
vantaggio della Società nei modi ordinari e in difetto di pagamento saranno
applicabili le disposizioni dell'art. 10.
Art. 32. - Il presente regolamento discusso e
approvato dalla Società convocata oggi in seduta ordinaria, e sottoscritto da
tutti gli intervenuti, avrà esecuzione immediata.
Art. 33. - La necessità delle eventuali modificazioni
al presente statuto-regolamento sarà fatta conoscere dalla commissione Teatrale
alla Società, od anche in seguito a proposta scritta da almeno tre quinti dei
componenti la società Teatrale.
Art. 34. - Il presente statuto regolamento colle
definitive aggiunte e modificazioni oggi inscrittevi, sarà stampato e
distribuito a ciascun socio per conto della Società.
Art. 35. - Per tutto ciò che non è contemplato nel
presente regolamento, i soci si riporteranno alle disposizioni di Legge.
lunedì 7 marzo 2016
Strand a Luzzara, neorealismo assistito
Link all'articolo di Michele Smargiassi:
http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2016/03/07/strand-luzzara-neorealismo-assistito/?refresh_ce
http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2016/03/07/strand-luzzara-neorealismo-assistito/?refresh_ce
domenica 6 marzo 2016
sabato 5 marzo 2016
Dino Tagliavini “BAGIAN”: al bösch, la magana e l’alsana
Ho fatto la quinta elementare e non posso capire il dialettico giornalistico. E allora lascio spazio a voi giovani che avete studiato, che parlate bene: noi siamo un po’ più grezzi. Voi giovani – non tutti – ci considerate già sorpassati nella vita; invece no, dovete rammentare che un anziano ha molto da insegnare. Non importa se un vecchio ha l’ulcera, ha male alle gambe o altri malanni, perché se ha il cervello a posto, se vede il sole al posto del sole e la luna al posto della luna, c’è da ascoltarlo molto bene. C’è molto da scoprire nell’anziano: è come leggere un libro di storia.
Alla mattina all’alba si veniva già nel bosco e si raccoglievano i pali, i fasci di legna. Verso le dieci si faceva una pausa per mangiare: il picnic originale. Uno era addetto a fare il fuoco. Quando il braciere era pronto e noi avevamo finito di lavorare andavamo a mangiare polenta abbrustolita, lardo (di grasso ne mangiavamo dei bungion), e cuspiton (aringa sotto sale). C’era un amico, Tamplon, che ne mangiava sei, sette teste.
Non ti puoi immaginare quello che abbiamo vissuto ai nostri tempi. Sono del 1914 e a otto anni ero già a lavorare nel bosco. Ho visto tante cose, la miseria… Grazie a Dio ho sempre avuto il pane, la polenta e un po’ di companatico, ma c’era della povera gente che non aveva niente, solo tre, quattro fette di polenta.
Dopo la pausa delle dieci si tornava a lavorare fino all’una. All’una andavamo a mangiare al toc che era un crostino di pane avanzato e un piccola mela campanina. Nella mezz’ora del pasto raccoglievamo anche li perghi, perché era tradizione che i boscaioli dovessero avere come ricompensa, oltre alla paga giornaliera, venti perghi e an pal. E poi via ancora a lavorare fino a sera, dall’alba al tramonto.
Se tu avessi visto come si trasportavano le merci all’epoca sul fiume! Da Guastalla, Dosolo, Luzzara, con i battelli, a tirar l’alzana*. Sai cos’è l’alzana? Non te lo puoi immaginare.
Un giorno ero a ballare alla festa dell’uva in teatro a Luzzara - all’epoca avevo già diciassette, forse diciotto anni – quando alle due mi vengono a chiamare per andare sulla magana, il battello grosso che portava 180 quintali. Siamo andati a casa e ci siamo cambiati. Nei pressi della muntada, dove stavano i Martinelli, un mio amico ha preso una gallina che dormiva sotto un pesco. Siamo partiti e abbiamo vogato fino in bocca d’Oglio. Poi abbiamo preso l’alzana (prima o poi te la devo fare vedere perché non puoi capire) per trainare la magana fino a Canicossa, dove abbiamo caricato 60 quintali circa. Ci siamo diretti poi alla Bruschina, vicino a Cizzolo. Era una corte dove dovevamo caricare altre cose. Lì una vecchietta ci ha ospitato in una stalla e ci ha cotto la gallina in una brunsa. Abbiamo mangiato la gallina e dla söpa in dal brod. La mattina alle tre abbiamo caricato – è una roba che a raccontarla mi vengono i brividi pensando alla vita di adesso – e siamo arrivati dal Facion a Cizzolo, dove abbiamo legato la magana perché c’era scuro. Ci siamo diretti verso casa vogando controcorrente e siamo rientrati alle undici. Ad aspettarmi c’era un po’ di minestra che mi avevano messo da parte. Alle cinque siamo tornati a riprendere la magana per portarla a Luzzara. Abbiamo scaricato e caricato tutto sui carretti, che di camion non ce n’erano, e per tutto questo tribolare ho percepito 12 lire.
Testimonianza estratta da un documento video di Lorenzo Davoli
* L'alzana era una fascia, ottenuta con la tela delle vele oppure di un sacco, che il barcaro faceva passare attraverso la parte superiore del petto. Posteriormente veniva legata con una cordicella cui veniva annodata la corda che serviva per trainare la barca.
Link al documento video:
http://unpaese.blogspot.it/2010/11/ricordando-bagian.html